Da oltre trent’anni in Italia si sta cercando di portare dei cambiamenti migliorativi alla Costituzione, senza che però mai si sia giunti in fondo. Per la prima volta il Parlamento è stato in grado di votare – pur se con diverse mediazioni – una importante riforma “manutentiva” della seconda parte della Costituzione, quella che regola il funzionamento delle istituzioni dello Stato. La riforma non tocca nulla della prima parte della Costituzione, quella che definisce i principi fondamentali su cui si regge la nostra Repubblica e i diritti e i doveri dei cittadini (è questa prima parte che ha fatto definire la nostra Carta fondamentale “la Costituzione più bella del mondo”). Il testo della riforma, confrontato con la Costituzione vigente, può essere consultato qui.
I temi toccati dalla proposta di riforma costituzionale, che sarà sottoposta al voto referendario confermativo domenica 4 dicembre (si vota dalle ore 7 alle ore 23), sono soltanto 6, ma gli articoli modificati sono 46 per via dei rimandi ad articoli fra loro collegati.
Se i cittadini approveranno la riforma ci saranno alcuni indubbi vantaggi.
L’eliminazione del “bicameralismo paritario” contribuirà a migliorare la tempestività con la quale il Parlamento potrà dare risposte, rendendo l’attività legislativa più rapita ed efficace. Infatti il Senato si differenzierà dalla Camera dei Deputati e non dovrà più dare o togliere la fiducia al Governo, ma occuparsi quasi esclusivamente di leggi che hanno a che fare con Regioni, Città metropolitane, Comuni, diventando una camera che si occuperà prevalentemente delle istanze provenienti dalle autonomie locali. Il Senato sarà composto da 74 Consiglieri regionali e 21 Sindaci (oltre a 5 membri di nomina presidenziale), che avendo diretta esperienza dei problemi dei territori, sapranno meglio trovare soluzioni adatte. I Parlamentari diminuiranno, perché oggi i Senatori sono 315 e con la riforma saranno 100.
Avremo leggi in tempi più rapidi, con risposte concrete in tempi più coerenti alle esigenze della società. Risposte più tempestive migliorerebbero anche la credibilità del Parlamento. L’introduzione del voto a data certa, su disegni di legge ritenuti fondamentali per il raggiungimento del programma di Governo, vedrà il Parlamento discutere e votare la legge entro 70 giorni. Ciò risolverà anche il problema dell’abuso della decretazione d’urgenza, che tornerà ad essere utilizzata secondo quanto correttamente previsto dalla Costituzione del 1948.
La riduzione del numero dei Parlamentari, l’eliminazione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (un organismo di consulenza legislativa composto da 65 membri, che non ha mai dato reale valore aggiunto alla formazione delle leggi e che non c’è ragione di mantenere), il tetto posto alle indennità dei Consiglieri regionali – che non potranno superare quelle dei Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione –, l’abolizione dei contributi ai gruppi consiliari regionali, la definitiva eliminazione delle Province, faranno ridurre il costo della politica e produrranno risparmi alle casse dello Stato.
I governi potranno reggersi su maggioranze univoche: solo la Camera dei Deputati potrà dare e togliere la fiducia. Via i rischi attuali di maggioranze differenti fra le due Camere e le conseguenti necessità di continue ed estenuanti mediazioni. Avremo più stabilità.
Verrà migliorato il rapporto fra Stato e Regioni attraverso la riforma del Titolo V della Costituzione, facendo chiarezza sul “chi fa che cosa”, evitando inutili litigi sulle rispettive competenze e quindi facendo diminuire il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Turismo, politiche energetiche e grandi infrastrutture di trasporto diventano competenza nazionale, perché su quei temi serve agire unitariamente. Le regioni virtuose e con i conti in ordine potranno chiedere maggiori autonomie.
Verrà introdotto lo Statuto delle opposizioni: più garanzie per chi è chiamato a controllare l’operato di chi governa.
Aumenteranno gli strumenti di democrazia diretta: con una nuova opzione per abbassare il quorum di validità dei referendum abrogativi, vengono introdotti i referendum consultivi; con l’innalzamento del numero di firme necessarie per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare (da 50.000 a 150.000) viene anche posto l’obbligo al Parlamento di discutere e votale la proposta avanzata dai cittadini.
Si tratta di riforme in larga parte attese da anni, che, mantenendo la forma parlamentare dello Stato, semplificano i processi legislativi e rendono più incisiva l’azione di governo, consentendo nel contempo ai cittadini di poter meglio misurare i risultati.
Domenica 4 dicembre i cittadini si dovranno esprimere sul quesito che trovano sulla scheda, non su altro: il voto sul Governo, su Renzi, Grillo, Salvini o Berlusconi, ci sarà alle elezioni politiche. Domenica si vota nel merito della riforma costituzionale.
Si tratta di una riforma perfetta? Assolutamente no, come è normale che sia, perché le mediazioni che si sono dovute compiere hanno portato ad indebolire alcune scelte iniziali. Ma ciò fa parte della dialettica democratica. Del resto neppure la Costituzione del 1948 è perfetta, per stessa ammissione di alcuni dei più autorevoli padri costituenti, che avevano fin dall’inizio previsto che la Costituzione potesse e dovesse essere migliorata nelle parti più deboli o esuberanti, che erano state oggetto di troppi compromessi. Le riforme proposte non sono state improvvisate: sono il frutto di oltre trent’anni di discussioni e di due anni di dibattito parlamentare, con 6 votazioni avvenute nelle due Camere (per redigere l’intera Costituzione ci misero un anno e mezzo). La riforma perfetta non esiste, come non esistono leggi che possano risolvere magicamente ogni problema: ci sono riforme e leggi che ci possono far compiere passi avanti nella direzione giusta; vale davvero la pena farlo qual passo in avanti e non restare fermi dove siamo.
Si poteva fare meglio? Certo, come sempre si potrebbe fare meglio; ma i risultati sono frutto delle condizioni date, della disponibilità dei soggetti politici a trattare e mediare, a farsi carico insieme di una prospettiva rinnovata per il Paese oppure di preoccuparsi del proprio tornaconto politico di breve periodo. Alcune forze politiche che hanno contribuito a definire e scrivere il testo della riforma e che l’hanno votata in Parlamento per ben 2 volte sui 6 passaggi complessivi, hanno lungo il cammino deciso di cambiare idea, senza che il testo della riforma inizialmente votata abbia mutato senso e contenuto. C’è chi guarda lungo, all’interesse del Paese, e chi preferisce guardare alla prossima scadenza elettorale…
Cosa accadrebbe se la riforma non venisse approvata? Non vedo pericoli e drammi – ci mancherebbe –, come ovviamente non ci sono in alcun modo rischi di autoritarismo se la riforma venisse approvata: la propaganda ha raccontato cose non vere o inesatte. Certo è, invece, che persa questa occasione per riformare la Costituzione, non se ne presenterà a breve un’altra. Se la riforma non venisse approvata si tornerebbe al voto senza aver fatto alcuna riforma. Se vincesse il no, con il prossimo voto politico avremo ancora Camera e Senato a tenere il Governo sul filo della maggioranza (ammesso che chiunque vinca le prossime elezioni abbia la maggioranza in entrambe le Camere, cosa poco probabile stante le norme e le condizioni politiche attuali) e quindi ancora elevati rischi di instabilità, con tutte le conseguenze del caso. Se la riforma costituzionale non venisse approvata, continueremmo ad avere l’Italia di oggi, della quale spesso ci si lamenta perché non sa cambiare.
Bisogna invece avere la consapevolezza che le cose si possono cambiare, adesso, con il voto di domenica: non in un futuro indeterminato. Se vince il no resta tutto come ora; se vince il sì l’Italia si mette davvero in marcia sulla strada del cambiamento. La possibilità e la scelta di cambiare è nelle mani di chi domenica si recherà al voto. Non serve all’Italia una scelta politica, serve una scelta di buon senso.
Io voto sì!
2 Comments
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Caro Sindaco, le ho già fatto i miei complimenti, strameritati. C’è voluto coraggio per affrontare le resistenze iniziali dei nostri concittadini e il populismo di alcuni politici locali che si sono aggrappati alla privacy per cavalcare l’iniziale resistenza. Il risultato la ripaga, e la riduzione del 10% della TARI dopo tanti anni di crescita a volte discutibile rende tutto ancora più concreto.
Vorrei tuttavia segnalarle ancora una volta la situazione di Villa Fiorita ed in particolare di via Grandi, di fronte al parcheggio. Rifiuti chiaramente di un’attività di ristorazione, abbandonati tutti i giorni in modo disordinato e senza alcuna attenzione per il calendario di raccolta. Per non parlare della decina di biciclette arrugginite e prive di alcune parti abbandonate da mesi negli stalli di fronte a quelli del bike sharing.
Villa Fiorita a causa dei lavori di via Assunta è diventata la porta d’ingresso della nostra città e meriterebbe una manutenzione e una sorveglianza maggiori per evitare che diventi una discarica.
Grazie in anticipo per l’attenzione e Buone Feste !
Marco Casale-Rossi 7 anni ago
Abbiamo oggettivamente problemi con quella attività e continuano gli interventi per limitare disagi e ricondurre l’attività agli interventi regolari e corretti.
(Questi commenti sono però connessi a questo post https://eugeniocomincini.it/2016/ecuosacco-importanti-risultati-ambientali-ed-economici/ 🙂 )
Eugenio 7 anni ago
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