25 Aprile 2013, il mio discorso commemorativo

Questa mattina si sono tenute anche nella nostra città le celebrazioni per il 68° anniversario della Liberazione.

Come tradizione, dopo la messa si è tenuto il corteo, quest’anno con una innovazione: una significativa sosta davanti a palazzo Tizzoni in piazza Matteotti, il luogo dove il 26 aprile 1945 anche Cernusco venne liberata dai nazi-fascisti, asserragliati nel loro quartiere generale allora ospitato nello storico palazzo. A seguire la posa della corona d’alloro al momunento ai caduti, e quindi – al cippo di viale Assunta  che ricorda l’eccidio fascista nel quale vennero uccisi i partigiani cernuschesi Cesare Riboldi e Luigi Matavelli – si sono tenuti i discorsi ufficiali: quelo del Presidente dell’ANPI locale Danilo Radaelli (incentrato sui temi della bellezza e della cultura a partire dall’art.9 della Costituzione), e quello del sottoscritto. Di rilievo il fatto che la Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, abbia inviato all’ANPI locale un suo messaggio per la nostra celerazione, parole lette da Radaelli: un’attenzionzione che ci fa onore.

Qui di seguito il testo del discorso che ho tenuto, quest’anno dedicato ai giovani, di allora e di oggi (in fondo al discorso c’è un bel video sul corteo del 25 Aprile di questo anno, filmato e montato da Emilio Corbari e aggiunto a questo post il 10 maggio 2013):

Autorità civili e militari, Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, concittadini;

Settant’anni fa prendeva avvio il movimento della Resistenza, la lotta partigiana che portò, il 25 aprile del 1945, alla liberazione dell’Italia dalla dittatura nazi-fascista e aprì le porte alla democrazia.

Fin dalla sera dell’8 settembre 1943, poche ore dopo la comunicazione radiofonica del maresciallo Badoglio sull’armistizio, Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Alcide De Gasperi, Mauro Scoccimarro, Pietro Nenni e Ugo La Malfa si riunirono a Roma, in rappresentanza di sei partiti antifascisti usciti dalla clandestinità a seguito del crollo del regime dopo il 25 luglio (Partito Comunista Italiano, Democrazia Cristiana, Partito d’Azione, Partito liberale italiano, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e Partito Democratico del Lavoro) e costituirono il primo “Comitato di Liberazione Nazionale” (CLN), struttura politico-militare che per tutto il periodo della guerra di Liberazione avrebbe caratterizzato la Resistenza italiana contro l’occupazione tedesca e le forze collaborazioniste fasciste della Repubblica di Salò.

Già l’indomani mattina Nenni ebbe un primo contatto telefonico con altri esponenti politici a Milano dove venne a sua volta costituito un altro Comitato di Liberazione Nazionale che più tardi sarebbe diventato il coordinatore della guerra partigiana al nord con il nome di Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI).

Entro l’11 settembre la struttura dei CLN era costituita e i comitati passarono rapidamente alla lotta armata ed alla clandestinità di fronte al rafforzarsi del potere politico militare delle forze tedesche e del nuovo Stato repubblicano fascista.

La Resistenza portò al sacrificio di circa 45.000 partigiani: vite “gettate sul rogo” per ottenere la liberazione dell’Italia.

La lotta di Liberazione toccò tutti, senza distinzione di classe sociale o di condizione economica: militari e civili; professionisti come intellettuali, operai come contadini. La Resistenza toccò, come molte altre, anche la nostra città e i nostri cittadini seppero dare il loro contributo in modo esemplare.

 

Ogni anno ci ritroviamo in questo luogo a celebrare l’anniversario della Liberazione, rendendo omaggio a due giovani cernuschesi partigiani che vennero vigliaccamente attaccati proprio alla vigilia del 25 aprile.

Il 24 aprile, infatti, in questo luogo, Cesare Riboldi e Luigi Mattavelli, cercando di disarmare un maresciallo delle Brigate Nere, vennero da questo colpiti con un’altra pistola che teneva nascosta: i colpi uccisero all’istante Cesare e ferirono mortalmente Luigi.

Proviamo ora per un attimo a chiudere gli occhi, a tentare di portarci con la memoria agli avvenimenti di quei giorni, ad immaginarci questi luoghi, molto meno urbanizzati di oggi, pensiamo alle azioni condotte dal movimento temerario dei partigiani, alla loro attività nascosta ma decisa, determinata, motivata dal credo in grandi valori. Immaginiamoci gli spostamenti tra un comune e l’altro, tra Milano e i paesi della provincia, tra i luoghi di nascita e quelli d’azione. Immaginiamoci le tensioni, le angosce, le paure. Immaginiamo la straordinaria grandezza di un’azione condotta in semplicità.

Immaginiamo.

Cosa vediamo? Sono certo che nei vostri pensieri emergono distinte le figure di molti giovani, di uomini poco più che ragazzi che si sono resi protagonisti della lotta di liberazione. Di giovani donne che hanno affiancato la loro azione con coraggio e grandi capacità. Giovani che consegnano materiale di propaganda con staffette, che rastrellano e nascondo armi, che volantinano a favore di uno sciopero, che affiggono di nascosto manifesti contro il fascismo, che si riuniscono per pianificare le prossime azioni, che fanno rischiosa propaganda tra i colleghi sul posto di lavoro.

Giovani che ebbero il coraggio di mettere a repentaglio la propria vita (e a volte anche quella dei familiari) compiendo una scelta difficile e pericolosa, ma sicuramente piena di speranza!

Silvano Sarti, un partigiano toscano, ha avuto modo di raccontare: “In quanto a coraggio ce ne voleva. Ma non credere che si fosse tutti coraggiosi… Avevamo venti anni e ci avevano tolto la libertà. Dovevamo scegliere fra la parte dell’occupante e la libertà… E quando ci dissero che per riaverla, la libertà, avremmo dovuto combattere in montagna contro i fascisti, anche quelli che erano pecore diventarono leoni…“.

Troppo spesso si dimentica questo fatto: che la Resistenza venne incarnata principalmente da giovani, giovanissimi, spesso adolescenti.

Pietro Calamandrei, rivolgendosi agli studenti universitari di Milano nel 1955 e parlando della Costituzione repubblicana, ricordava loro che «dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta».

Le vecchie generazioni di antifascisti, spesso costretti all’esilio o all’emigrazione dopo aver subito violenze e provato la reclusione in carcere, difficilmente avrebbero potuto raggiungere da soli una mobilitazione così vasta contro l’occupazione nazi-fascista, senza il supporto di quei giovani, che cresciuti nel regime seppero rifiutarlo e animarono la guerra di Liberazione; giovani che furono capaci di emanciparsi dal regime, aderendo alle realtà politiche e culturali che si opponevano a Mussolini e impegnandosi nelle formazioni partigiane.

 

Perché ho scelto di parlare dei giovani, quest’anno.

Perché credo che la Storia abbia sempre qualcosa da insegnarci e anche il 25 Aprile, ogni anno, ci può suggerire qualche riflessione sul presente.

Le questioni legate al rinnovamento generazionale – non solo della politica, ma di molti gangli vitali del nostro Paese – oggi sono al centro dell’attenzione. Non si tratta, si badi bene, di dirci che chi è più avanti nell’età deve mettersi da parte. Al contrario chi ha più esperienza sulle spalle oggi come allora ha molto da insegnare e spiegare a chi è più giovane. Penso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che lunedì scorso nel messaggio seguito al suo secondo giuramento, ha usato parole sferzanti verso i partiti e le loro incapacità di trovare una via d’uscita per dare risposte al Paese. Un uomo di 88 anni, un gigante delle istituzioni, che chiede di abbandonare «calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi». Per il Capo dello Stato «volere il cambiamento, ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco e non porta lontano se non ci si misura sui problemi» concreti «perché diventino programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del Parlamento che sta avviando la sua attività». Parole come pietre pronunciate da un uomo che sta svolgendo un ruolo di supplenza alle incapacità e alla mancanza di coraggio di altri. Il Presidente della Repubblica ieri ha deciso di affidare l’incarico per formare il nuovo Governo ad un uomo di 46 anni, Enrico Letta, che – se porterà alla meta il suo tentativo – sarà il secondo più giovane Premier nella storia del Paese. Ma i suoi 46 anni sono già molti di fronte all’età dei partigiani che liberarono l’Italia, spesso ben più giovani di lui.

 

La lotta di liberazione dal nazi-fascismo funzionò perché condotta con la passione e la grinta di giovani cresciuti nel regime che fecero una scelta di campo, espressero un giudizio estremamente negativo sull’esperienza vissuta dall’Italia e in qualche caso da loro stessi negli anni precedenti e che decisero di divenire i leader dell’antifascismo, sostituendosi ai vecchi protagonisti sconfitti da Mussolini, ereditandone certamente i valori e gli obiettivi. Ciò fu anche possibile perché gli anziani combattenti seppero umilmente riconoscere non già il mancato valore delle loro battaglie, quanto la loro inadeguatezza a guidarle. Ci fu un passaggio di testimone che fu corroborante all’esigenza dell’Italia di voltare pagina, dopo un atroce Ventennio.

Ci vuole molta incoscienza ma anche tanta caparbietà, convincimento, lucidità e capacità, per decidere di impegnarsi in una gigantesca partita per la Storia del Paese e accompagnarlo ad uscire dal fascismo e costruire da zero la democrazia. Furono quei giovani che riuscirono ad archiviare la dittatura e tutti i mali che essa portò con sé, e riuscirono a farlo grazie alle doti e alle qualità che sono proprie dei giovani.

Oggi dove sono i giovani? Dove sono le loro doti e il loro coraggio? Sarebbe disonesto non riconoscerne la presenza in politica e nella società civile, ma certamente, oggi, non sono loro che stanno mettendosi al centro di un processo per accompagnare l’Italia fuori dalle secche.

Chiudiamo di nuovo gli occhi ed immaginiamo l’Italia di qui a qualche anno, immaginiamola fuori dalla crisi, capace di rilanciare le proprie uniche qualità, di far ripartire l’economia e l’occupazione, liberata da corporazioni che ingessano il suo progresso. Immaginiamola di nuovo leader sullo scenario internazionale.

Immaginiamo.

Io non riesco a vederla se non guidata da una nuova classe dirigente che a tutti i livelli sappia avere il coraggio di assumersi una responsabilità audace e rischiosa. Ma certamente piena di speranza. Come fu per i giovani partigiani che liberarono l’Italia.

A giovani e meno giovani, buon 25 Aprile a tutti!

W la Resistenza! W la Liberazione!

 
Il video del corteo del 25 Aprile 2013:

 

Eugenio

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