Voterò NO al referendum sulla riforma costituzione che taglia i parlamentari.
Qui sotto spiego il perché.
Uno dei mali che attanaglia la nostra società – e quindi anche la politica – è la semplificazione, che distorce la realtà, impedendo di comprenderne dimensioni, natura e funzionamento. Io sono per la complessità, che solo quando viene colta aiuta a comprendere la realtà.
Quindi vai avanti a leggere solo se hai voglia di capire e usare la testa, non la pancia.
Il 20 e 21 settembre saremo chiamati ad esprimerci in un referendum costituzionale (senza quorum) con il quale si chiede agli elettori se vogliono confermare e approvare definitivamente la Legge Costituzionale concernente “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” approvata dal Parlamento: chi vota “sì” vuole il taglio dei parlamentari, chi vota “no” è per mantenere il numero attuale.
Di che taglio parliamo? La Camera dei Deputati, oggi composta da 630 membri, si ridurrà a 400 Deputati. Il Senato della Repubblica, oggi composto da 315 membri, passerà a 200 Senatori. Significa che i parlamentari scenderanno da 945 a 600, con una riduzione assoluta di 345 membri ed una riduzione relativa del 36,5%.
A cosa dovrebbe servire questa riduzione del numero dei parlamentari? Sul sito del Dipartimento per le Riforme Istituzionali si legge che “L’obiettivo è duplice: da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall’altro ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura)”.
L’elettore che non si accontenti di slogan e voglia partecipare in maniera consapevole e formata al referendum deve quindi porsi un duplice quesito: questa riforma favorirà l’efficenza del processo decisionale? I risparmi annunciati aiuteranno la democrazia?
Io rispondo no. Due volte no.
Oggi il Parlamento funziona male: questo è un problema non solo nazionale ed italiano, ma che riguarda tutte le assemblee elettive (dai Consigli comunali al Parlamento) e tutte le democrazie moderne. Il problema non sta nel numero dei parlamentari: ridurli non porterà maggiore efficienza, perché ciò che rende inefficiente il processo legislativo non sono le troppe bocche che vogliono prendere parola. Ma la dinamica del rapporto Governo-Parlamento. L’attività parlamentare è quasi completamente assorbita dalla conversione in legge di Decreti governativi o dall’approvazione di disegni di legge di iniziativa governativa, mentre i progetti di legge di iniziativa parlamentare giacciono nei cassetti delle Commissioni. Ogni mese i parlamentari depositano all’incirca 200 progetti di legge: alla fine della legislatura solo 2 o 3 decine di quei testi saranno diventati Leggi dello Stato. Il problema è legato al numero dei parlamentari? Assolutamente no. Il problema è legato al sempre crescente ruolo degli esecutivi (da quello dei Sindaci nei Comuni a quello dei Governi sul piano nazionale) e alla lentezza con la quale si adeguano le norme per un migliore funzionamento delle assemblee elettive. L’esigenza di assumere celermente decisioni in funzione dei problemi che si presentano va assecondata. Ma le risposte a questo bisogno non sono tutte uguali e se tendono sempre a favorire gli esecutivi e a deprimere l’attività rappresentativa, va a finire che gli elettori si chiederanno a che cosa possa servire un eletto. A qualcuno potrebbero apparire tanti anche 600 parlamentari: perché non scendere a 60?
Per rendere più efficiente il Parlamento non serve tagliare parlamentari, rappresentanti dei cittadini: bisogna differenziare il ruolo di Camera e Senato superando il bicameralismo perfetto che caratterizza l’Italia (oppure, se si vuole essere più radicali, tenere una sola Camera) e bisogna riformare i regolamenti parlamentari. Allora avrebbe senso una riduzione e rimodulazione del numero dei parlamentari.
La differenziazione dei compiti fra le 2 Camere produrrebbe maggiore efficienza: la Camera dei Deputati dà e toglie la fiducia al Governo e vota tutte le leggi; il Senato interviene solo su temi legislativi specifici attinenti le regioni, o il bilancio, o la politica estera. In questo modo l’iter legislativo sarebbe più spedito. E questo a prescindere dal numero dei parlamentari.
Spesso l’attività parlamentare si inceppa ed impedisce una corretta doppia lettura perché l’iter si dilunga molto per l’esame dei numerosi emendamenti. Se riducessimo il numero dei parlamenti diminuirebbe anche il numero degli emendamenti? Assolutamente no, perché gli emendamenti vengono elaborati con i parlamentari dagli uffici legislativi dei Gruppi e sia oggi che domani nulla vieta che un parlamentare presenti 100 o 200 emendamenti. Se si agisse con ponderazione sui regolamenti parlamentari si potrebbe trovare un migliore equilibrio tra diritto dei parlamentari di emendare i testi ed esigenza di rispetto dei tempi, così come accade in altri Paesi. La semplice riduzione del numero dei parlamentari non produrrà questi effetti. Anzi: se a fronte del taglio questo resterà il modus operandi, la sfiducia verso la politica crescerà ancora di più.
Ma di tutto questo, nella riforma approvata dalle Camere e oggi sottoposta al voto referendario, non solo non ve n’é traccia, ma neppure se ne discute a latere.
Qualcuno potrà eccepire: “eh, ma quelle modifiche si faranno dopo…”. Ma quando mai?! Per aggiustare questi meccanismi occorre avere coscienza della realtà e non rincorrere slogan, invidie e la pancia di un pezzo dell’elettorato.
E se le ipotesi sopra descritte fossero la cura da affiancare al taglio, perché non farle contemporaneamente? La riforma costituzionale del 2016, bocciata dal 60% degli elettori, poteva essere discutibile, ma aveva una sua organicità, mirava a riforme articolate del sistema, contemplava anche modifiche alla legge elettorale. Qui siamo di fronte ad una riforma inconcludente, priva di visione, senza le necessarie misure aggiuntive. Solo per poter dire che si è “tagliata la casta”.
Ci sarà chi sostiene che comunque, se vincerà il sì al referendum, si risparmieranno un po’ di soldi delle casse dello Stato. Per i soldi pubblici bisogna avere sempre grande rispetto e vanno spesi al meglio. Ma se devo risparmiare 50 o 60 milioni l’anno (questa è la cifra facendo i conti con le indennità parlamentari, non certo 100 milioni come sostengono alcuni…) su un bilancio di circa 800 miliardi – lo 0,00625% – devo chiedermi a cosa rinuncio. Oggi il Parlamento lavora male, l’ho spiegato sopra, ma risparmiare solo per dire di aver risparmiato lo trovo insensato: il risparmio avrebbe senso se producesse più efficienza e speditezza nel processo legislativo. Ma come visto non sarà così. Il taglio dei parlamentari, insieme ai risparmi di spesa, produrrebbe anche una sotto rappresentazione degli italiani: saremmo gli ultimi in Europa con 1 parlamentare ogni 100.000 abitanti. E con una sempre maggiore distanza tra elettori ed eletti, perché i candidati vengono scelti ormai da lungo tempo dai segretari di partito (o da una oscura piattaforma elettronica) e la rappresentatività dei territori andrebbe definitivamente a farsi benedire. Avremo risparmi di spesa, ma i rappresentanti territoriali di alcune zone sparirebbero. Io mi definisco “un Senatore di provincia”, uno che ha fatto la gavetta venendo dall’esperienza di Sindaco della mia città: pensate che chi viene dalla grande città e dalla provincia – anche quando si è nello stesso partito – abbiano la stessa visione sui problemi? Che si abbia la stessa lettura della realtà? Niente affatto. E se l’Italia è “il Paese dei 100 campanili” è perché le differenze territoriali sono molte: e vanno adeguatamente rappresentate, non compresse. La rappresentanza è la base della democrazia moderna: comprimerla senza rendere più efficiente i processi significa ammazzare la democrazia.
Tagliare il numero dei parlamentari, come per altro prevedeva anche la riforma costituzionale del 2016, avrebbe senso se quel taglio fosse accompagnato da una riforma del bicameralismo perfetto, una modifica dei regolamenti parlamentari, una coerente revisione delle norme elettorali.
Ecco: far credere ai cittadini che tagliando i parlamentari si otterrà un Parlamento più snello ed una maggiore efficienza di sistema è una falsità degna dell’annuncio dell’abolizione della povertà.
Solo chi si ferma agli slogan, solo chi si è assuefatto alla semplificazione, può credere a questa affermazione.
La complessità che permea i sistemi democratici non va dribblata: agli elettori bisogna sempre raccontare la verità.
Poi, ovviamente e giustamente, spetta agli elettori decidere. Possibilmente informati e coscienti della realtà.
PS: a chi mi potrebbe ricordare che votando no al referendum farei il contrario di quanto fatto in Aula ricordo che il Senato ha espresso il proprio ultimo voto sulla riforma prima della nascita del Governo Conte II e che quindi ho potuto scientemente e serenamente esprimere il mio voto contrario, senza vincoli legati agli accordi sulla nascita del nuovo Governo. E sono lieto di non essere stato costretto a farmi violenza per disciplina di partito…
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