Ieri sera si è tenuto il Consiglio comunale aperto nel corso del quale sono stati illustrai alle città i contenuti della manovra economica appena approvata dal Parlamento e i relativi effetti sui Comuni e la nostra città in particolare.
Un’occasione ulteriore di incontro con la città e di ascolto, dato che il pubblico ha potuto intervenire. La sala consiliare, che tiene 60 posti, era praticamente piena (normalmente a seguire i Consigli comunali ci sono dalle 2 alle 6 persone…).
Sono contento dell’attenzione con la quale i cittadini presenti hanno seguìto interventi e spiegazioni ed anche per i contributi che sono stati fatti, sia dal pubblico che dai Consiglieri presenti.
Purtroppo PDL e Lega non sono rimasti in aula per partecipare al dibattito: hanno sostenuto che la seduta consiliare fosse stata convocata in modo irregolare e che il sottoscritto prevarichi il Consiglio; una volta letto ad inizio seduta da parte del Capogruppo PDL Monti (l’unico di loro che ha partecipato all’appello) il loro documento, si sono seduti tra il pubblico ed hanno poi abbandonato la sala subito dopo la fine del mio intervento ed appena prima che intervenisse il pubblico. Ringrazio quella parte dell’opposizione fatta dalle liste civiche che è rimasta in aula e ha dato il suo contributo al dibattito.
La seduta si è chiusa con l’approvazione all’unanimità di un ordine del giorno proposto da Anci.
Qui di seguito il mio intervento:
La situazione economico-finanziaria del nostro Paese è cosa nota: ormai da lungo tempo l’Italia, come molte altre nazioni occidentali, fatica ad innestare una marcia adeguata a macinare sviluppo e crescita che garantirebbero migliori condizioni di vita (lavoro, redditi, consumi, produzione, utili, tassazione…) e sostenibilità della finanza pubblica, il tutto in un quadro di equità sociale e fiscale. Il nostro Paese, rispetto a molti altri, trova maggiori difficoltà per l’enorme debito pubblico che drena in continuazione risorse per pagare gli interessi.
Il Governo, per far fronte al repentino recente acuirsi della crisi, ha partorito un decreto legge più volte emendato (e in fase di conversione mentre scriviamo) che contiene una manovra economica sicuramente poderosa nella dimensione, ma certamente scarsa dal punto di vista della strutturalità degli effetti, alquanto iniqua rispetto al peso caricato sulle diverse articolazioni dello Stato, incapace di coniugare bene il necessario rigore con l’esigenza di sviluppo.
Ci sono alcune questioni o mal gestite o del tutto non affrontate in questa manovra, che la rendono debole, pericolosamente recessiva e con il fiato corto.
Il primo aspetto riguarda i tagli imposti a Regioni, Province e Comuni, che tradotto significa il taglio che si produrrà ai servizi offerti ai cittadini. In particolare, per quanto riguarda i Comuni, il Decreto 78 dello scorso anno, il Decreto 98 di luglio e il Decreto 138 di agosto hanno portato i tagli ad un livello abominevole, insostenibile:
- 2011: 1,5 miliari di euro di taglio ai trasferimenti e 2,16 miliari di euro di miglioramento dei saldi di spesa per il patto di stabilità;
- 2012: 2,5 miliari di euro di taglio ai trasferimenti e 3,7 miliari di euro di miglioramento dei saldi di spesa per il patto di stabilità;
- 2013: 2,5 miliari di euro di taglio ai trasferimenti e 4,5 miliari di euro di miglioramento dei saldi di spesa per il patto di stabilità;
- 2014: 2,5 miliari di euro di taglio ai trasferimenti e 4,5 miliari di euro di miglioramento dei saldi di spesa per il patto di stabilità.
In totale, tra tagli dei trasferimenti e riduzioni di possibilità di spesa, fanno 23,86 miliardi di euro di sacrifici imposti ai Comuni in 4 anni! Stiamo parlando di quasi 50.000 miliardi delle vecchie lire!!! Pazzesco!
Se vogliamo stare sulle percentuali e non sui numeri reali, il contributo richiesto ai Comuni è pari al 17,3% della spesa media corrente per il 2012 e del 18% per il 2013.
A queste cifre folli a carico dei Comuni si sommano tagli di pari importo per le Regioni e le Provincie: va da sé che con questi numeri sarà insostenibile garantire i servizi sino ad ora offerti con fatica dagli Enti territoriali ai propri cittadini.
Vale la pena ora ricordare alcuni dati che pongono a confronto il contributo al risanamento delle finanze pubbliche dato dai Comuni con i “sacrifici” dello Stato centrale: dal 2007 al 2009 il comparto Comuni ha migliorato il dato della propria spesa di 2,5 miliardi di euro. Gli altri comparti dello Stato lo hanno peggiorato di 30 miliardi! Inoltre: le manovre 2010 e 2011 hanno tagliato a Regioni, Province e Comuni quasi 100 miliardi. Lo Stato pesa il 75% nella spesa pubblica mentre gli Enti territoriali pesano per il restante 25%. Alle autonome locali è però stato cariato il 75% del peso delle manovre degli ultimi 2 anni! Tutto ciò significa che si è assistito ad uno spostamento di spesa dai territori al centro. Alla faccia dell’autonomia e del federalismo…
Ci sono livelli dello Stato ove la spesa pubblica in questi anni è proliferata, non si è mai fermata, ha proseguito la sua corsa, ovvero i Ministeri, si tratta di spesa non per investimento, ma spesa corrente. Sul comparto “Ministeri”, però, non è stato preso nessun provvedimento serio per controllare, frenare e ridurre la spesa. Il comparto “Comuni” ormai da qualche anno – dopo i numerosi tagli e sacrifici – non genera un deficit allo Stato, ma un avanzo (unico caso nell’ambito della Pubblica Amministrazione italiana); se la spesa pubblica ed il debito pubblico in questi anni sono invece cresciuti, di chi sarà la colpa se i Comuni hanno già fatto il loro dovere? Lo Stato deve decidersi a fare i conti con le inefficienze ministeriali, gli alti costi del centralismo burocratico e della politica nazionale! Il problema sta però nel manico: chi deve decidere dove tagliare è anche il responsabile della spesa che affoga lo Stato…
Deve essere chiaro a tutti un aspetto: i Comuni – anche con le manifestazioni di dissenso delle ultime settimane e lo “sciopero” dei Sindaci di quest’oggi, al quale hanno aderito l’86% dei primi cittadini, secondo i dati di ANCI – non protestano e basta, ma fanno un’assunzione di responsabilità, consapevoli del momento difficile che viviamo. Siamo disponibili a fare la nostra parte; che presuppone però che anche le altre articolazioni dello Stato facciano la loro, in particolare l’apparato centrale e ministeriale, che fino ad ora non ha subito particolari decurtazioni di spesa!
Gli Enti Locali, infatti, non si tirano indietro rispetto ai sacrifici da sostenere per far quadrare i conti dello Stato, ma chiedono che i tagli vengano modulati in modo proporzionale alla creazione di deficit che le diverse articolazioni dello Stato producono e in maniera proporzionale all’effettiva incidenza della finanza degli enti territoriali rispetto al complesso della finanza pubblica.
Il tentativo di eliminare i Comuni inferiori ai 1.000 abitanti è stato ed è ridicolo e fazioso: il costo complessivo delle indennità di carica dei 1.950 Sindaci interessati corrisponde alle indennità di 20 parlamentari. C’è stato chi ha voluto far passare per una rivoluzione la cancellazione di 50.000 “poltrone” legate ai piccoli Comuni: in realtà la proposta ha avuto il sapore della farsa, tesa a nascondere gli sprechi della “casta” – alla quale gli Amministratori locali si onorano di non appartenere, poiché non abbiamo privilegi da difendere se non quello di stare accanto ai nostri cittadini e dare loro risposte – e dell’offesa verso chi svolge una sorta di volontariato civico.
Altro punto imprescindibile ed importantissimo – non solo per i Comuni, ma anche per il sistema economico del Paese – è quello relativo alla richiesta di modificare radicalmente il patto di stabilità, in modo tale che da poter stimolare gli investimenti per la crescita.
Ma che cosa è il famigerato “patto di stabilità”? Questo strumento perverso di fatto non consente di spendere tutti i soldi che i Comuni hanno a disposizione, al netto dei tagli. Il nostro Comune, ad esempio, ha congelato in Banca d’Italia (a tasso zero!) quasi 22 milioni di euro, che non possiamo utilizzare per effettuare pagamenti di opere già decise e regolarmente finanziate.
Spesso sono proprio gli Enti locali – che non possono pagare per via del patto di stabilità – gli “agenti di morte” delle aziende italiane (quelle che operano con la Pubblica Amministrazione), trovatesi in gravissime difficoltà finanziarie perché non sono state pagate per le loro commesse pubbliche. In un momento di crisi come questo, consentire di pagare le commesse pubbliche equivale a far circolare ricchezza, stipendi, consumi, produzione, ecc., cioè far ripartire l’economia. Ecco perché chiediamo insistentemente un cambio delle regole del patto, che consenta di sbloccare le risorse per effettuare pagamenti utili non solo alle opere pubbliche delle nostre città, ma anche all’economia italiana per la ricchezza che verrebbe inserita nel sistema.
È chiaro a tutti (come è stato ampiamente argomentato da Sindaci, Presidenti e Governatori sia di centrodestra che di centrosinistra, anche nelle recenti manifestazioni) che nelle condizioni sopra descritte non si possono più garantire i servizi ai cittadini: asili nido, assistenza scolastica, servizi sociali, ecc. Tutto diventa più drammatico. L’unica chance che ci è data è quella della leva fiscale, dell’aumento delle addizionali IRPEF, delle tariffe dei servizi, ecc. Il che significa che comunque è il cittadino e la famiglia a rimetterci: o avendo meno servizi di quanto ne avesse prima, o pagando di più per avere gli stessi servizi di prima.
Chiediamo che venga restituita piena autonomia agli Enti territoriali e sia effettivamente riconosciuta pari dignità istituzionale: vogliamo essere ascoltati, non solo per le critiche che muoviamo alla manovra, ma anche per le proposte alternative che consentirebbero di garantire una migliore spesa pubblica.
Un Amministratore locale, un Sindaco, non può non essere inquieto e tormentato dagli effetti che questa manovra avrà sulla sua gente, perché – come ho tentato di spiegare – è sulla gente comune (quella onesta, che lavora, che paga le tasse) che si scaricherà il peso di questa manovra: tagli alle agevolazioni fiscali, tagli ai servizi o in alternativa aumento dei balzelli. Se questa manovra porterà la gente comune a spendere meno ciò comporterà – in ultima istanza – che ci saranno altri posti di lavoro a rischio. E anche questa sarebbe una grande preoccupazione per chi amministra le città.
Ecco dunque spiegate le ragioni che in queste settimane vedono moltissimi Sindaci di ogni colore politico uniti nella protesta contro una manovra che ammazza l’autonomia locale, il livello istituzionale dello Stato più vicino ai cittadini. E la ragione profonda che vede uniti Sindaci di destra, sinistra e centro è la consapevolezza che istituzioni e politica sono due cose diverse, che non vanno confuse. Quando un Sindaco è tale veste la maglia della propria città, non quella del partito di appartenenza, perché ciò che conta è tutelare l’interesse dei propri cittadini.
Siamo impegnati a fare tutto questo: auspichiamo che la nostra gente, i nostri concittadini, comprendano le ragioni della nostra protesta e le sostengano con noi.
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