Questa mattina si sono tenute anche a Cernusco sul Naviglio le celebrazioni per il 71° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo, partecipate da moltissime persone.
Dopo la messa celebrata per le libertà civili e a suffragio dei caduti di tutte le guerre, è partito il corteo che giunto in piazza Matteotti ha sostato davanti a palazzo Tizzoni, dove avvenne la liberazione di Cernusco sul Naviglio; qui si sono tenuti i discorsi commemorativi con l’intervento del Presidente di ANPI Danilo Radaelli e del sottoscritto, sotto riportato.
Il corte ha poi ripreso il percorso per giungere in piazza Martiri della Libertà dove è stata deposta una corona d’alloro al Monumento ai Caduti, e quindi verso largo Riboldi – Mattavelli, dove al cippo che ricorda l’uccisione dei due partigiani Cesare Riboldi e Luigi Mattavelli avvenuta il 24 aprile 1945, è stata deposta una corona d’alloro.
Autorità civili e militari, Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, concittadini;
il 25 aprile di settantuno anni fa i partigiani liberavano Milano dall’occupazione nazi-fascista, avviando il percorso finale per ridare all’Italia intera l’agognata libertà.
Anche se la guerra continuò fino ai primi giorni di maggio, venne scelto quel giorno per segnare la data fondamentale per la storia recente del nostro Paese, in quanto simbolo della Resistenza e delle forze partigiane, che a partire dall’8 settembre 1943 si impegnarono contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista. Il 25 aprile fu festeggiato già l’anno seguente l’avvenuta Liberazione, quando – su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi – il principe Umberto, allora Luogotenente generale del Regno d’Italia, con il decreto luogotenenziale n°185 del 22 aprile 1946 sulle ricorrenze festive dichiarava il 25 aprile festa nazionale. La Liberazione fu festeggiata anche negli anni successivi ed istituzionalizzata stabilmente come ricorrenza nazionale della Repubblica italiana con la legge n°260 del 27 maggio 1949 e da allora, ogni anno, il 25 aprile si celebra la memoria degli eventi del 1945.
Sono dunque oggi settant’anni dalla prima commemorazione della Liberazione dal nazi-fascismo. Settant’anni di celebrazioni, ricordo, memoria. Appare a tutti evidente come il tempo rischi di logorare la memoria stessa e l’azione degli uomini possa produrre alterazioni degli eventi storici che si commemorano. La retorica rischia di offuscare il valore intrinseco di quegli avvenimenti e quanto ancora oggi hanno da comunicarci. In effetti, in questi settant’anni di celebrazioni si è perso per strada qualcosa dello spirito originario che produsse la Resistenza e la Liberazione stessa. Il valore stesso della Liberazione era univoco e chiaro per tutti gli italiani non fascisti: dai comunisti ai liberali, dai democristiani ai socialisti, dagli anarchici ai monarchici, dagli atei ai credenti. Il 25 aprile era la celebrazione simbolica del vittorioso sacrificio degli italiani antifascisti per il riscatto della nazione e la liberazione del Paese dall’oppressione.
Ben presto però accadde che le nuove criticità e contrapposizioni sul piano internazionale allungassero ombre e producessero mutamenti sul recente passato ed incominciarono ad impossessarsi della memoria.
Come ha sostenuto Massimo Castoldi, presidente della Fondazione Memoria della Deportazione, “già nel 1947 il clima di Guerra Fredda e di scontro politico fra il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana – condotto a volte in modo tragicamente violento, a volte soltanto scorretto, irrispettoso e volgare, un vizio che torna periodicamente nella storia del nostro Paese – ha fatto presto dimenticare lo spirito di coesione antifascista sul quale si era fondata la Repubblica, che fu lo spirito dei padri costituenti”.
Ne sono seguiti vuoti di memoria, conflitti interni alle stesse forze politiche nate dalla Resistenza, tra le quali si sono affermati interessi di parte e personalismi. Si giunge così agli anni Novanta del XX secolo durante i quali c’è stato addirittura chi ha tentato di riabilitare la Repubblica di Salò, come se esistessero due memorie in conflitto fra loro, come se il fascismo avesse ancora qualcosa da dire alla Storia d’Italia. In quest’epoca di disgregazione della coscienza storica alcuni si sono anche dilettati nell’identificare la destra politica – tutta la destra politica – con il fascismo, insinuando questa sciocchezza nella mente di molti giovani e aizzando le piazze in cerimonie pubbliche, dimenticandosi della destra antifascista, che ha avuto grandi ed illustri protagonisti nei Comitati di Liberazione Nazionale, nella Resistenza e nella ricostruzione del Paese. E parimenti, incredibilmente, chi ha scelto di militare nella destra ha spesso dimenticato la storia antifascista di chi li ha preceduti e del contributo dato anche da esponenti di quella parte politica alla Resistenza e alla Liberazione.
Nazismo e fascismo non hanno nulla a che vedere con il confronto – che fu anche scontro – fra destra e sinistra e che ha animato il pensiero ed il dibattito politico ed economico del Novecento. Nazismo e fascismo hanno sostenuto principi aberranti come l’intolleranza, il razzismo, la sopraffazione, l’intimidazione, la violenza, l’uso della forza, il culto della personalità, l’inganno del popolo. Non c’è bisogno di retorica per spiegare e ricordare che il male assoluto, in Italia, ha vestito la camicia nera. Appare invece incredibile come oggi quegli atteggiamenti, anche con altri nomi, siano ancora un pericolo per l’Europa. Chiunque oggi incarna parole ed atteggiamenti così deplorevoli contribuisce drammaticamente ad evocare spettri del passato.
Mentre da più parti nel vecchio continente assistiamo a levate di scudi verso i valori che si sono contrapposti e si contrappongono al nazi-fascismo – umanità, accoglienza, rispetto, apertura, dialogo – è bello registrare come, nonostante le grida di qualcuno, il nostro Paese si contraddistingue per l’abnegazione e la generosità con cui salviamo e assistiamo migliaia di esseri umani che fuggono da guerre, miseria e condizioni disumane, sottoponendo se stessi e i propri figli a rischi e pericoli gravissimi pur di mantenere accesa anche una piccola speranza per un futuro migliore: come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si tratta di “un sentimento che accomuna i rifugiati di oggi con la nostra gente di allora, con gli sfollati dalle città verso le campagne, con i profughi che affollavano le strade d’Europa in fuga dalla guerra”. I valori del 25 aprile “confermano nuova e perenne attualità di fronte ai rigurgiti di nazionalismo, di chiusure che emergono ai confini dell’Europa del XXI secolo e alle nubi che si addensano sulla sponda sud del Mediterraneo sempre più tormentato dal terrorismo e teatro di tragedie innumerevoli”. E mi piace ricordare come anche la nostra città si sia aperta all’accoglienza di alcuni di quei disperati in fuga dall’invivibilità che regna nei rispettivi Paesi.
Di fronte a quanto sta accedendo in Europa, il 25 aprile ci ricorda che abbiamo avuto – ed oggi doverosamente ricordiamo – uomini e donne, i martiri del nazi-fascismo, che hanno pensato agli altri prima che a sé stessi.
Del resto l’accoglienza è doverosa, ce lo impone anche la Costituzione. Una Costituzione che è figlia della Resistenza, insieme alla Repubblica, che proprio quest’anno, il prossimo 2 giugno, festeggerà settant’anni. Resistenza, Repubblica e Costituzione hanno un legame robusto fra di loro. Nella nostra Carta costituzionale sono risposti i fondamenti della nostra convivenza civile, i valori per i quali i partigiani hanno combattuto. Nel testo voluto dai padri costituenti risplendono la tutela e la cura degli interessi, dei diritti, dei doveri del cittadino, inteso come persona e come soggetto inserito in una comunità. Ha scritto Giorgio La Pira, costituente e Sindaco di Firenze, che “Il progetto di Costituzione si è preoccupato di considerare la persona umana nella integralità dei suoi status e dei suoi diritti: cioè non solo in quanto essa è una realtà individuale, non solo in quanto è membro della collettività statale, ma anche in quanto essa è membro di tutte le altre comunità che sono essenziali al suo sviluppo ed al suo perfezionamento: quindi in quanto essa appartiene ad una famiglia, ad una comunità territoriale, ad una comunità professionale e di lavoro, ad una comunità religiosa, ad una comunità culturale, alla comunità internazionale”. È la parte che contiene questi valori e questi diritti che fa della nostra Carta uno dei testi costituzionali più belli al mondo, frutto di valori, impegno e sangue versato dalla Resistenza. La riforma costituzionale recentemente approvata e sulla quale gli italiani si esprimeranno il prossimo ottobre, nulla toglie e nulla tocca dei principi fondamentali, dei valori e degli ideali che hanno visto lavorare insieme personalità dall’orientamento politico differente, ma accomunate da un’idea positiva di cittadinanza e della cosa pubblica. La riforma costituzionale interviene sull’ordinamento e il funzionamento dello Stato, che necessita da anni di essere modificato per poter meglio consentire alla politica di dare adeguate risposte ai cittadini.
Il rischio che oggi va fuggito e che il 25 aprile ci aiuta ad affrontare è quello del populismo, che è rifiuto della politica, rifiuto dello sforzo di tradurre le diverse esigenze che emergono dalla società. Massimo Recalcati – apprezzato psicoanalista e divulgatore, nato e cresciuto nella nostra città – nel suo libro “Patria senza padri – psicopatologia della politica italiana” ha messo bene in luce come “il populismo è sempre rifiuto della politica come traduzione. La polis è il luogo delle lingue, non di una sola lingua. Il politico si costruisce rendendo possibile la traduzione delle lingue. Ogni populismo vorrebbe invece introdurre una sola lingua, che è la lingua del padre-padrone”. Ricordando la pagina biblica della torre di Babele, Recalcati ci ricorda che la moltitudine sparpagliata sulla faccia della Terra deve fare i conti con le differenze, con il pluralismo delle lingue, “esigendo la pazienza della traduzione”. Esistono in democrazia più lingue e ciascuna ha diritto di manifestarsi e di essere ascoltata. Guai quando qualcuno vuole imporre una lingua sola, accreditandola come la sola pura, la sola vera, la sola giusta!
I partigiani e poi i padri costituenti avevano ben chiaro tutto ciò ed hanno saputo agire politicamente traducendo diverse sensibilità e valori in un unico obiettivo – la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo – e poi in un insieme di diritti e doveri dei cittadini e di regole d’azione democratica condivise – la costituzione della Repubblica –: la fatica ed il confronto della mediazione stanno alla base della politica e dell’azione delle istituzioni.
Prima di terminare voglio quest’oggi ricordare Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge ucciso poche settimane fa in Egitto. E lo voglio ricordare proprio quest’oggi perché Giulio è morto torturato, come i nazi-fascisti torturavano i partigiani, ma con una differenza: i partigiani erano in guerra, Giulio Regeni era in Egitto per studiare, comprendere, conoscere. È importante che l’Italia non chini la testa su questa vicenda e che l’Europa si faccia sentire. È importante tenere la fiaccola accesa fino a quando sarà stata fatta verità e giustizia su questa drammatica vicenda.
A Giulio Regeni e a tutti i martiri della lotta per la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo va quest’oggi il nostro tributo di riconoscenza.
Viva il 25 aprile!
Viva la Resistenza!
Viva l’Italia!
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