I risultati del referendum per l’autonomia in Lombardia (ancorché non definitivi alle ore 11.00 di lunedì 23 ottobre, nonostante il voto elettronico…) ci consegnano alcuni importanti messaggi, validi per la politica lombarda e nazionale.
Bisogna farsi carico della volontà di maggiore autonomia espressa dai lombardi. Il risultato non va sminuito né dileggiato: in quel risultato ci sono i voti non solo dei leghisti e del centrodestra, ma anche degli elettori, dei Sindaci e degli Amministratori del PD che hanno voluto – come Giorgio Gori – sostenere le ragioni del sì, ci sono i voti di elettori M5S, ci sono i voti di parte del civismo lombardo.
Nonostante alcuni esponenti politici abbiano fatto campagna elettorale distorcendo il significato del referendum e raccontando scenari futuri che nulla avevano ed hanno da condividere con il quesito referendario, l’espressione dello specifico spirito autonomistico lombardo è avvenuta con modalità “da rito ambrosiano”: con una trasversale condivisione politica, ben dentro i confini definiti dalla Costituzione, con l’equilibrio e la saggezza che contraddistingue le nostre comunità, senza fantasiose rivendicazioni su temi populisti, senza esprimere demagogiche e insostenibili avance fiscali. La propaganda non ha sfondato. Il quesito referendario e lo stesso complessivo risultato referendario non hanno sfiorato le fantasie legate a “regione a statuto speciale” o al “residuo fiscale”.
La specificità lombarda non ha velleità indipendentistiche: il referendum – né nel sentiment della campagna elettorale, né nel risultato – non ha espresso desideri confederali. La nostra Regione può ed ora deve richiedere maggiori competenze negli ambiti che anche prima del referendum erano e sono ritenuti quelli “naturali” sui quali il nostro territorio può svolgere una funzione più diretta: politiche industriali, lavoro e formazione, ricerca per l’innovazione tecnologica, politiche ambientali, sistemi di welfare, valorizzazione del patrimonio culturale. Si tratta dei temi che possono permettere ai nostri territori e alle nostre comunità di veder crescere l’occupazione e la qualità della vita, attraverso una gestione diretta delle relative politiche.
La partecipazione ed il sì della Lombardia sono quindi per una autonomia costituzionale, nel segno delle caratteristiche della nostra Regione. Una scelta responsabile.
Credo invece non sia utile soffermarsi, nelle analisi politiche, sulla partecipazione al voto: non vale proprio la pena stare a discutere se sia flop o successo la percentuale dei votante, che si attesta poco sotto il 40%; e ciò essenzialmente per due ragioni. La prima: se guardiamo ai precedenti sui referendum (escluso quello costituzionale del dicembre 2016, che ha una storia a sé), il risultato di ieri è in linea: nell’ottobre 2001, quando si votò il referendum confermativo sulla riforma del Titolo V della Costituzione (voluta dal centrosinistra), in Lombardia votarono 2.838.957 elettori, pari al 37,29% (a livello nazionale l’affluenza fu del 34,05%, di qui il “valore dell’asticella” che Maroni si era posto per determinare il risultato positivo sull’affluenza); nel referendum sulle “trivelle” dell’aprile 2016 in Lombardia la percentuale dei votanti fu del 30,47% (32,16% a livello nazionale) e mobilitò 2.274.733 lombardi. La seconda ragione: i confronti con il Veneto sono inutili perché le due Regioni hanno storie diverse e bisogni diversi; anche il fatto che nel referendum veneto ci fosse il quorum e in quello lombardo no, rende non confrontabili di due risultati. L’esito della partecipazione di ieri, per una consultazione referendaria consultiva e senza quorum, è apprezzabile, anche se Maroni e i suoi avrebbero voluto un risultato più corposo.
Ovviamente il dato più importante è quello del risultato sul quesito referendario: ancorché scontato, quando è un plebiscito a dire che si vuole maggiore autonomia su nuovi temi e che la gestione delle risorse sul proprio territorio la si considera più efficiente e migliore di quanto si è capaci di fare a livello nazionale, c’è poco da discutere. Quel circa 95% di sì è significativo. C’è da mettersi a lavorare in fretta e bene – sia a Palazzo Lombardia e al Pirellone che nei palazzi romani – perché le richieste avanzate dai lombardi che si sono recati al voto trovino compimento. Se le diverse forze politiche condivideranno un progetto con le richieste di maggiore autonomia da fare allo Stato, senza le velleità propagandistiche, sarebbe utile che la trattativa con Roma venga condotta non solo dal (futuro) Presidente regionale, ma anche da una rappresentanza delle forze politiche che condividono le richieste da fare a Roma.
C’è un ulteriore importante tema – anche se non esplicito – che il voto di ieri deve porre all’attenzione della politica. È ora necessario che a livello nazionale si faccia un deciso e convinto passo avanti per coniugare autonomia e responsabilità, cosa che dalla riforma del Titolo V della Costituzione nessuno è stato in grado di fare. Infatti, se non si arriva a ridefinire in maniera precisa le competenze dei diversi livelli di governo (evitando inutili e dannose sovrapposizioni ed ingerenze), attribuendo strumenti fiscali esclusivi, i cittadini non avranno mai chiaro di chi sono le responsabilità delle scelte. Con buon pace dell’autonomia. Competenze chiare, risorse certe, perequazione per garantire a tutti gli italiani i livelli essenziali; i cittadini devono sapere a chi pagano le tasse per fare cosa. È fondamentale ed indispensabile fare chiarezza su tale aspetto: solo così l’autonomia che ogni istituzione esercita sarà sottoposta ad una adeguata e sensata valutazione da parte dei cittadini elettori.
C’è un sacco di lavoro da fare: mi auguro che ci si convinca che anziché bisticciare dannosamente o fare inutile propaganda, sia utile e necessario impegnarsi per elaborare un condiviso riassetto delle competenze dei differenti livelli di governo, per esaltare il valore dell’autonomia delle diverse istituzioni ed anche per meglio misurare le capacità politiche e gestionali delle classi dirigenti chiamate a ricoprire i ruoli di governo.
[Per la cronaca: qui il link per vedere l’aggiornamento sui risultati a livello regionale; qui i risultati definitivi a Cernusco sul Naviglio]
PS: Io ieri ho votato; e ho votato sì.
Nonostante i molti errori che sono stati fatti sul percorso che ha portato a questo referendum, credo che sia stato corretto dare il proprio contributo ad una richiesta di espressione delle propria volontà, che il sistema democratico propone. Ed ovviamente ho creduto che Regione Lombardia avesse le carte in regola per poter chiedere allo Stato maggiore autonomia nella gestione diretta di altre materie.
Con ciò non sostengo minimamente che l’attuale gestione delle risorse oggi a disposizione di Regione Lombardia sia la migliore possibile; ma un conto è discutere sulle migliori scelte politiche che possono essere fatte per la destinazione delle risorse a disposizione, altra cosa è il discutere sulla possibilità che nuove materie possano essere direttamente gestite dalla Regione, cioè sul nostro territorio.
Avrei preferito che il referendum si tenesse in un contesto diverso, senza che potessero esserci dubbi e/o accuse di strumentalizzazioni ai fini del voto regionale del prossimo anno. Ma ahimè, per l’insipienza di chi oggi guida la Regione, si è giunti a votare per questo referendum a ridosso della prossima scadenza elettorale. Ciò non toglie che il voto meritasse un’espressione da parte dell’elettore. Così ho ritenuto, e così ho fatto. Sono quindi andato a votare, senza temere che il mio voto favorevole potesse e possa andare ad ingrossare le fila dei sostenitori dell’attuale maggioranza che guida la Regione: resto convinto che si possa fare decisamente meglio, su tale versante; ma per questi giudizi ci sarà tempo e modo di esprimersi nelle prossime elezioni. La sensibilità sui temi dell’autonomia e della responsabilità nella gestione delle risorse a disposizione del territorio non sono temi appannaggio solo di chi governa o solo di una parte politica.
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