Lo sviluppo della città e delle città contermini, i mutati bisogni sanitari dei cittadini, le nuove modalità organizzative della sanità pubblica, le esigenze di spending review, lo sviluppo e risultati della ricerca e quindi delle risposte alle urgenze sanitarie dei cittadini, da tempo mi interrogano se l’ospedale Uboldo possa essere ancora adeguato a tutto ciò; e non solo per l’oggi e il domani, ma anche e soprattutto per il dopodomani.
Immaginare la nostra città di qui a 10 e più anni mi fa nascere non poche domande circa il ruolo, il valore e la funzione che l’ospedale Uboldo – con l’attuale struttura e gli attuali spazi – potrà avere e giocarsi allora.
La sua infelice collocazione, le strutture vecchie anche se in parte rimodernate, l’impossibilità di programmare alcun tipo di sviluppo per mancanza di spazi, mi hanno interrogato sul da farsi. Immaginare che di qui a 10 anni la situazione sia la stessa mi preoccupa. Perché non potrà essere così. Di qui a 10 anni o la situazione cambia profondamente oppure, per una pluralità di ragioni (sanitarie, organizzative, economiche) il “nostro” ospedale non avrà molto più senso di esistere.
E a mio avviso non può neppure più bastare l’originale e positiva impostazione dell’ospedale a rete, avviata con l’ultimo Piano Ospedaliero Aziendale (predisposto dall’Azienda Ospedaliera di Melegnano, della quale siamo parte) con il quale si definiva un interessante ruolo per ognuno dei presidi ospedalieri presenti nella zona della Martesana che continuava ad esistere e a caratterizzarsi, con la scelta fondamentale però di attivare di un “modello a pendolo”, dove cioè si muovono i medici e non i pazienti. Tale impostazione è pronta a diventare carta straccia in virtù delle nuove disposizioni di legge che impongono vincoli molto stringenti sugli standard per poter vedere attivo ed operante un ospedale (a partire dal numero di posti letto per specializzazioni).
Se la situazione in una prospettiva futura è a mio avviso critica, la ragione è da identificare in alcune scelte errate e poco lungimiranti fatte nel passato, nella diffusa incapacità politica a dialogare con soggetti terzi (altri Comuni, la Regione, lo Stato), la miopia politica che bada più alla difesa dell’esistente e di quanto c’è a casa propria piuttosto che vagliare adeguatamente le migliori soluzioni ai diversi problemi.
Nel passato sono stati compiuti errori strategici importanti: quando negli anni Cinquanta del Novecento si decise di costruire il nuovo edificio dell’ospedale si fece una scelta miope stabilendo di realizzarlo in adiacenza alla villa Uboldo, distruggendo parte del parco storico della villa e non sfruttando adeguatamente i molti terreni di proprietà dall’Ospedale che si estendevano lungo via Buonarroti e fino alle cascine Molinetto e Melghera. Pensare allora di avere un nuovo ospedale ai margini del centro paese e non immaginare che il comune si sarebbe sviluppato in futuro fagocitando e soffocando la struttura, fu un errore di veduta politica davvero grave. Se oggi l’ospedale si trova in un budello di via, non adeguatamente dotato di parcheggi di prossimità, e soprattutto impossibilitato a svilupparsi per assenza di adeguate aree, lo si deve a quella scelta che non esito a definire paesana. Un altro errore lo si è commesso giocandosi tutte le aree in adiacenza all’ospedale per consentire o un possibile sviluppo futuro – pur con la difficoltà di padiglioni separati – o almeno un adeguato sistema di parcheggi di prossimità; l’ultima area utile che non si è stati in grado di sfruttare a tale scopo è stata quella del Cinema Gloria, in piazza Risorgimento, oggi edificata con abitazioni e box privati. Ma l’accessibilità è solo uno dei problemi che pesano sul futuro dell’Uboldo.
È evidente che in quelle scelte errate la politica non ha saputo giocare il ruolo che le spetta, che la rende un’arte nobile, e cioè quello di guardare al dopodomani e non solo all’immediato. La mancanza di lungimiranza nelle scelte causa sempre gravi problemi, se non nell’immediato certamente nel lungo periodo. L’azione politica ha senso se riesce a definire i più opportuni percorsi possibili affinché il futuro sia migliore del presente.
Oggi viviamo un momento storico particolarmente difficile e complesso: non è pensabile che le condizioni attuali nelle quali si trova l’Ospedale Uboldo (ma altrettanto si potrebbe dire dei nosocomi di Gorgonzola, Cassano d’Adda, Vaprio d’Adda ed anche Melzo) possano essere ancora sostenute di qui ad un decennio. E non solo per ragioni economiche, stante che la spesa pubblica esige continui e profondi risparmi; ma per motivi aventi a che fare con le moderne esigenze di organizzazione dei servizi sanitari al fine di offrire ai malati le migliori risposte. Le modalità con le quali viene offerto il servizio sanitario sono profondamente cambiate da quando Ambrogio Uboldo,a metà Ottocento, decideva di mettere a disposizione i suoi beni per dar vita ad un ospedale per i poveri, che le trasformazioni normative e della storia ne hanno fatto l’odierno ospedale cernuschese, intitolato al benefattore. Le esigenze della sanità odierna impongono non solo che venga profondamente trasformato e quindi ricollocato, il nostro ospedale, ma che si ragioni in maniera radicalmente nuova sul sistema ospedaliero della nostra ASL, in particolare di quello della zona della Martesana, perché è impensabile che di qui a 10 anni ci siano ancora 5 ospedali, nessuno dei quali può essere considerato un nosocomio in grado di gestire importanti emergenze. A cosa serve oggi spendere un sacco di soldi per mantenere un ospedale che non riesce a salvarmi la vita se ho un infarto poiché non ha le competenze per fare un intervento cardiovascolare? È un esempio, ma oggi ricorriamo alle cure ospedaliere per lo più per questioni acute, i tempi di ricovero si sono fortemente ridotti (poiché non è davvero necessario stare in ospedale giorni e giorni dopo un’operazione), va assumendo sempre più peso la riabilitazione e soprattutto la prevenzione attraverso un’adeguata diagnostica. I 5 ospedali della Martesana faticano a caratterizzarsi per queste qualità che il bisogno di salute del cittadino oggi richiede.
Abbiamo quindi necessità di cominciare a ragionare seriamente di un nuovo, grande e adeguato ospedale della Martesana, con un DEA di secondo livello, in grado di offrire una risposta appropriata ai bisogni della salute dei cittadini della zona.
Serve coraggio, lungimiranza, abbandono delle posizioni di sola “difesa del campanile”, per affrontare questa sfida e definire nel medio termine le scelte che produrranno un rinnovamento positivo della sanità pubblica della nostra zona.
Il tema del “dove”, dell’ubicazione dell’ipotetico nuovo ospedale della Martesana, è l’ultimo pezzo del ragionamento e deve inficiare la riflessione ed il confronto sullo spinoso tema.
È evidente che parlare di un nuovo ospedale di zona, di un ospedale con DEA di secondo livello, significa discutere di un investimento economico di notevole portata, ma – al di là dei risparmi che comunque si otterrebbero chiudendo gli attuali ospedali di Cernusco, Gorgonzola, Melzo, Cassano e Vaprio per far posto ad una sola moderna struttura – non devono essere le cifre a spaventate e bloccare riflessioni e scelte, perché ogni vera e fondata esigenza politica prima o poi trova le risorse necessarie per partorire il risultato atteso. La questione è se si è convinti o meno di fare un passo del genere.
Oggi chiunque abbia una seria malattia non esige certo che sia l’ospedale cittadino a risolvere il suo problema, ma si dirige verso le strutture sanitarie (per lo più private e convenzionate) che si sono specializzate in diversi settori di cura. L’ospedale della nostra città resta un ospedale per la gestione di piccoli interventi e piccole emergenze e così pure accade negli altri ospedali della nostra ASL, poiché non hanno mai potuto specializzarsi su ambiti specifici, anche per mancanza di una dimensione adeguate; ma la moderna concezione ed organizzazione delle strutture e dei sistemi ospedalieri esigono profondi rinnovamenti nell’offerta.
Ritengo quindi che sia arrivato il momento di avviare il percorse affinché di qui ad un decennio la sanità pubblica locale sia migliore di quella odierna; questo obiettivo passa anche attraverso una profonda riorganizzazione dell’offerta ospedaliera oggi esistente e quindi mette in gioco anche l’attuale collocazione e strutturazione dell’ospedale Uboldo: è una responsabilità che non può più essere elusa. Avviamo la discussione politica, in città e nella Martesana; confrontiamoci, ascoltiamo, proponiamo; cerchiamo da subito un’interlocuzione con la Regione per creare le condizioni affinché si trovino le necessarie ingenti risorse per un progetto moderno ed adeguato alle esigenze dei cittadini di domani. Sono certo che troveremo anche la collocazione migliore. Da parte mia ho avviato alcuni primi contatti preliminari con le istituzioni superiori: ora attendo da ogni parte – partiti, associazioni, cittadini –segnali e riscontri a questa sollecitazione politica.
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Qualche nota storica sull’Ospedale Uboldo di Cernusco.
Quello che oggi conosciamo come Ospedale Uboldo entrò ufficialmente in funzione il 1° gennaio 1877 e deve al sua origine alle disposizioni testamentarie olografe redatte dal cav. Ambrogio Uboldo, nobile di Villareggio, il 15 agosto 1857 e il 30 aprile 1859; Ambrogio Uboldo moriva il 21 febbraio 1865. Il munifico benefattore aveva stabilito nel testamento di destinare “per ricovero degli infermi” la villa che aveva fatto edificare a Cernusco nel 1817, insieme con le rendite di legati e benefici che aveva destinato all’opera. Dopo la sua morte e dopo alcune dispute sull’eredità, il 22 agosto del 1869 la “Causa Pia Ambrogio Uboldo” veniva eretta in Ente Morale con Regio Decreto; il 2 luglio 1870 veniva approvato lo Statuto organico e il 17 luglio del 1876 il Regolamento. Primo presidente dell’Opera Pia fu mons. Luigi Biraghi (fondatore delle Marcelline, archeologo, consigliere comunale di Cernusco), che morì l’11 agosto del 1879. Nell’art. 4 dello Statuto, facendo esplicito riferimento alle volontà dell’Uboldo, si legge: “Scopo principale della Causa Pia è l’accogliere a cura gratuita, nei limiti dei propri mezzi, gli ammalati bisognosi di si Cernusco”.
L’ospedale di Cernusco nasce quindi come grande opera di beneficienza, in un’epoca in cui la sanità pubblica ancora non esisteva; e la situazione resta a lungo tale, anche dopo la legge Crispi del 1895 che diede vita agli Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficienza (IPAB), che di fatto trasformarono la forma giuridica di circa 23.000 tra ospedali, case di riposo, opere pie (con un patrimonio stimato nel 1896 in circa 2 miliardi di lire) da enti di diritto privato in enti di diritto pubblico.
Seguendo l’esempio dell’Uboldo, una nutrita schiera di benefattori ha sostenuto con donazioni e prestazioni d’opera fin da subito e poi nel tempo la Causa Pia; tra i benefattori più generosi e illustri si ricordano Angelo Tizzoni (che con testamento del 1879 nominava erede universale dei suoi beni la Causa Pia) e Carolina Balconi (che con testamento del 10 dicembre 1895 nominava l’Ospedale erede generale di suoi beni); le salme del Tizzoni e della Balconi riposano insieme a quella dell’Uboldo nel cimitero di Cernusco, nella cappella dell’Ospedale.
Dopo la morte dell’Uboldo la conversione della villa ad uso ospedaliero comportò grosse difficoltà economiche, per cui nel 1867 gli amministratori della Causa Pia decisero tra al’altro la vendita delle collezioni d’arte e addirittura di alcune piante del giardino della villa. La progressiva sistemazione e trasformazione della villa per le esigenze ospedaliere proseguì in funzione delle risorse disponibili. Gli impegni finanziari sulla villa Uboldo impedirono alla Causa Pia di mantenere in proprietà la villa Greppi, ricevuta in eredità da Luigi Tizzoni; nel 1886 gli amministratori vendettero la villa oggi sede del municipio all’Ospedale Maggiore di Milano, che sino agli anni Cinquanta del Novecento vi mantenne attiva una propria succursale dapprima con un cronicario e poi con un tubercolosario (la villa Greppi venne poi acquistata dal Comune di Cernusco nel 1963). Anche le risorse derivanti dalla vendita di quel lascito vennero impiegate per adattare progressivamente villa Uboldo all’uso ospedaliero; nel 1945 quasi tutti i locali disponibili della villa erano stati trasformati. Sino al termine della seconda guerra mondiale la struttura aveva una permanenza giornaliera di circa 20-30 ammalati, per un totale di circa 8.000 giornate annuali; nel 1960 si superavano le 26.000 giornate di presenza annuali con una media giornaliera di circa 80 ammalati. Di fronte al ritmo crescente della richiesta di cure,sin dal 1955 gli amministratori della Causa Pia si trovarono a decidere se continuare a modificare ed adattare la villa oppure costruire un nuovo ospedale. Si decise per la seconda ipotesi, avviando l’iter per la costruzione di un nuovo reparto chirurgico, da realizzare con i proventi derivanti dalla vendita di terreni di proprietà della Causa Pia; il buon andamento dell’asta dei terreni consentì di non fermarsi alla sola realizzazione del nuovo padiglione chirurgico, ma di completare l’opera, che venne inaugurata l’11 novembre 1961. Il nuovo ospedale aumentava di 150 unità il numero di letti per gli ammalati.
Con la nascita nel 1970 delle Regioni e l’affidamento ad esse da parte dello Stato delle competenze sanitarie, l’ospedale Causa Pia Ambrogio Uboldo ha progressivamente cambiato modalità di gestione, passando sotto le competenze dell’USSL, poi dell’USL e quindi dell’ASL, vedendo via via allontanarsi il centro decisionale, sempre più slegato dalla comunità cittadina e inserito in un sistema sanitario che ha progressivamente messo in rete i bisogni sanitari dei cittadini.
(Fonti: AAVV, “Cernusco sul Naviglio”, 1960; Paolo Comi, “Ambrogio Uboldo”, 1972; Paolo Comi, “Villa Uboldo”, 1983)
7 Comments
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Caro Eugenio, il tuo ragionamento e le tue riflessioni sono suggestive e apriranno un dibattito serio e doveroso in città. Mi permetto solo di aggiungere alla ricostruzione storica che hai riproposto che l’opera Pia Uboldo era proprietaria di numerosi terreni proprio intorno alle cascine Molinetto e Melghera e che, dopo essere passati all’allora USSL, furono alienati con una gara a dir poco sospetta (oggetto anche di esposto) a favore di privati che ottennero, a poca distanza da allora, il permesso di edificare, nonostante fossero compresi in area di parco comprensoriale. Questa operazione, è giusto ricordarlo, portò grandi profitti al privato (che poi fallì) e creò un danno alla USSL e a tutti i cittadini di Cernusco. I responsabili di quell’operazione, e anche questo è giusto ricordarlo, sono stati per anni i maggiorenti politici della città. È loro, come molti dei funzionari che l’avvallarono, camminano ancora tra noi.
Domenico Affinito 10 anni ago
Questi cinque ospedali andrebbero certamenti ridotti a due oppure come proponi tu Eugenio ad uno solo di livello avanzato.
Per non so quanto – per realizzare il progetto – sia necessaria la spinta e la pressione del territorio. In questo caso, credo che serva prima confrontarsi e far fronte comune tra i vari municipi dell’Adda-Martesana, e questo incoccerà inevitabilmente nel problema del “dove”.
Sull’ubicazione credo che Cernusco e Gorgonzola partirebbero favoriti dalla presenza della metropolitana e dei collegamenti stradali. Se si parlasse di due presidi forse avrebbe senso collocarli ad ovest (Cernusco?) ed est (Cassano?) dell’area, mentre se si parlasse di un solo presidio forse Gorgonzola o Melzo sarebbero in una posizione raggiungibile abbastanza facilmente da tutti i comuni.
Ok, il “dove” non era il tema ma secondo me andrà discusso per trovare un accordo e coordinare gli sforzi nei colloqui con i livelli politici e amministrativi superiori.
Giorgio C 10 anni ago
[…] Concordo con le riflessioni del sindaco Comincini: domande sul futuro dei piccoli ospedali dobbiamo … Occorre, di questo parla Comincini, rivedere la rete ospedaliera della Martesana. […]
Sanità in Martesana - Il blog di Paolo Micheli - 10 anni ago
[…] letto con interesse l’intervento del Sindaco sul suo blog in riferimento alla riflessione per pensare ad un nuovo […]
Sindaco e nuovo ospedale | Persona e Città 10 anni ago
Il campanilismo dei politici ha fatto molti disastri tra cui lo scempio degli ospedali in ogni paese con funzionalità vicino allo zero. Negli anni 90 l’allora assessore regionale Generoso lanciò una proposta per riunificare i nosocomi e proprio chi sedeva nei banchi del PCI non volle neanche prendere in considerazione la soluzione perchè a loro dire non avrebbe dato un servizio vicino ai cittadini. Mi fa piacere che oggi questo argomento venga alla ribalta, meglio tardi che mai?
Lista civica Cassano è Tua 10 anni ago
Con tutto il rispetto per la proposta, non vorrei però che si esagerasse con l’esaltare i vantaggi di pochi ospedali centralizzati vs molti ospedali sparsi sul territorio.
Personalmente ho sempre considerato una fortuna l’avere un ospedale a Cernusco (pur con gli evidenti problemi di parcheggio).
L’onda lunga delle centralizzazioni sarà magari giusta, ma sarebbe opportuno fare opportuna analisi costi/benefici delle 2 alternative.
Di questi tempi di vacche magre, chiudere ospedali per risparmiare sembra essere molto in voga. Non vorrei però che certe decisioni si prendessero su di una spinta emotiva senza valutare correttamente le conseguenze sulla popolazione.
Se poi rinunciando a un pò di comodità si può ottenere un servizio migliore spendendo meno, ben venga.
Se invece per risparmiare un pò di soldi (sulla carta) bisogna togliere servizi a tutti, renderli più scomodi e licenziare un pò di personale “inutile”, allora magari il gioco non vale la candela.
Ugo 10 anni ago
[…] Nuovo ospedale unico della Martesana: qualcosa già si muove L’Assemblea dei Sindaci dell’Asl Milano 2 si è riunita il 7 ottobre per discutere (anche) del tema dell’ospedale unico della Martesana (a dimostrazione che la questione non è una fantasia del sottoscritto come qualcuno ha scritto in questi giorni commentando in rete il mio post precedente in materia). […]
Nuovo ospedale unico della Martesana: qualcosa già si muove « Il Blog di Eugenio Comincini 10 anni ago
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